Il piacere di sentirsi un bambino che ascolta le storie raccontate dalla nonna,un piacere che si riaccende scrivendo e pregustando il piacere che, a propria volta, si darà ai lettori. Così, con spirito incantato (e incantevole), Marco Frigerio, chimico visionario, racconta storie poliedriche, che portano a viaggiare nel tempo e nello spazio, storie diversissime ma tutte accomunate da un alone di mistero, che le rende attraenti e inafferrabili. Qualche settimana fa, ho avuto il piacere di incontrarlo e di presentare presso Il Mondo Yoga Studio il suo libro “Oggi mi sento proprio bene”, edito da La Erudita. Ecco qua per voi, il resoconto di una conversazione, che fa capire quanto l’essere scrittori sia, più di tutto, una questione di sguardo.
- Sei uno scrittore poliedrico, i tuoi racconti spaziano da ambientazioni fantastiche ad ad altre storiche. Pensiamo al Medio Evo leggendario del racconto Il Frate o al futuro da fantascienza di L'esplorazione di Venere 603. Come nasce un tuo racconto? Quali sono le tue fonti di ricerca e ispirazione?
I miei racconti nascono dal piacere di “ascoltare” storie.
Storie come quelle che si raccontano gli amici a cena o al bar oppure le storie che raccontano le nonne ai nipotini.
E quindi dalla voglia di aggiungermi a questa narrazione verbale, che per essere una “buona” narrazione verbale deve essere scorrevole e fluida, caratteristiche che mi sforzo di perseguire nella mia scrittura.
Le fonti di ricerca e di ispirazione sono le più varie. Sicuramente lo sono le impressioni visive: come un paesaggio, un albero on un oggetto (una noce, una foglia). Ad esempio, il racconto “Mamarce Fleluske” nasce dall’ambra, questa resina fossile colorata come l’oro e che spesso racchiude tracce del passato: insetti, pezzetti di legno, piccoli sassi.
Il racconto “Il sonnambulo” nasce da alcune tavole di Tex, così come da impressioni lasciate da racconti di Calvino e Buzzati.
Oltre alle immagini, la Storia rappresenta una fonte inesauribile di inspirazione. Soprattutto la storia antica e preistorica, i cui reperti parlano di un uomo “maturo e moderno” fin dalla più lontana notte dei tempi. Ben prima degli egizi o dei sumeri, noi uomini di 40.000 anni fa riuscivamo a dipingere grotte fantastiche (Altamira, Lascaux), mostrando una sensibilità raffinata acconto a quella che, noi moderni crediamo, una vita selvaggia.
Le cose, in realtà, non mi sembrano molte cambiate negli ultimi 40.000 anni.
- Ciò che rende grande uno scrittore non è una scuola di scrittura ma la capacità di visione, quello che Flanery O'Connor chiamerebbe sguardo anagogico, Massimo Recalcati differenza tra la realtà e reale, Carlo Rovelli una lezione di fisica e Novalis la missione di ri-creare la terra. Tante prospettive diverse per esprimere lo stesso concetto: esistono diversi livelli di realtà. La scrittura nasce dalla capacità di esercitare uno sguardo investigativo sulla realtà, capace di andare oltre, per cogliere diversi livelli di vita. Sei d'accordo?
Assolutamente sì, in particolare trovo che la definizione di Novalis: di ri-creare la terra, sia particolarmente centrata.
Quando leggiamo un romanzo o un racconto, entriamo veramente in un mondo nuovo, che l’autore ha creato per noi lettori, ma che il lettore a sua volta modifica con la sua esperienza e la sua storia personale, fatto che permette ad ognuno di noi di leggere in modo originale e personale il mondo propostoci dalla pagina scritta.
- Il tuo libro è intriso di mistero, un mistero che irrompe nella normalità quotidiana, sconquassandola (Spaghetti alle vongole) e con sconfinamenti nel surreale (Le mani, Il sonnambulo). Come alleni questo sguardo anagogico?
Il mistero e il fantastico sono una modalità utilizzata da sempre in letteratura (penso a Omero o Kafka, passando per Ariosto e Shakespeare) per mostrare i diversi aspetti della realtà.
Come si allena lo sguardo anagogico e fantastico? Ascoltando le persone, camminando per le strade, uscendo di casa, leggendo giornali, libri fumetti e guardando le cose con uno “sguardo laterale”, obliquo rispetto a quanto di omologato ci viene proposto da tg, serie tv e chiacchere da bar (notate: chiacchere e non “fole”, che sono splendidi “racconti assurdi, iperbolici, improbabili, spudorati, sboroni e anagogici”).
- Essere un chimico è un ostacolo o una risorsa del tuo essere scrittore?
E’ sicuramente una risorsa. Il chimico è per sua natura uno che modifica cose, combinando la materia conosciuta per creare una nuova materia.
Così lo scrittore combina le parole per creare, come dicevano prima, mondi nuovi.
Inoltre il chimico è “uno che cerca”. Cerca senza sapere cosa troverà alla fine del suo viaggio di ricerca.
Molti tra i miei racconti narrano storie di esplorazioni (Orso; Mamarce, Base antartica, Venere603), forse perché sia come scrittore che come chimico mi piace uscire dal seminato. Cercare cose nuove, alzarmi e uscire di casa per esplorare il mondo fuori.
Scrivo per il piacere di ascoltare storie. E scrivo perché è un’esigenza come respirare, mangiare e muoversi. Altri fanno sport, io scrivo.
- Si dice che lo scrittore di romanzi sia un architetto disciplinato, mentre il poeta un mistico folgorato dall'ispirazione. Lo scrittore di racconti brevi è una via di mezzo tra i due o cosa?
Concordo almeno in parte. I romanzi e i racconti sono un tipo di scrittura tra loro molto simile. La poesia è tutta un’altra cosa.
Scrivere poesie è difficilissimo. La poesia dice le cose che non si possono dire. E la poesia è l’unico modo che abbiamo per esprimerle.
Penso a Ungaretti e Rimbaud o alla Szymborska o a Yeats e Pessoa.
Scrivere romanzi o racconti è “semplicemente” narrare cose, pensieri, storie. Sicuramente scrivere romanzi richiedono una capacità architettonica maggiore rispetto quella necessaria per i racconti.
Ma anche questi, romanzi e racconti, possono tranquillamente essere visionari e mistici: “I fratelli Karamazov”, “la Metamorfosi” “il maestro e Margherita” “Le città invisibili” “Le cosmicomiche”.
Io scrivo racconti semplicemente perché il tempo necessario per scriverli è minore o semplicemente più concentrato, e questo si combina meglio con la mia vita lavorativa di chimico (e privata).
- Il Comitato di lettura del Premio Italo Calvino, nella lettera che ti ha scritto, parla di attesa, sospensione. "Dopo poche righe o dopo decine di pagine, la conclusione è sempre una non-conclusione: non uno scioglimento che spiega tutto, ma piuttosto la sollecitazione a modificare il nostro sguardo accettando uno stato di cose che rimane ineluttabilmente sospeso. Viene frustrata ogni nostra pretesa di ricorrere a criteri di logica. Questo ricorda la logica illogica dei racconti zen, forse anche l'idea di presenza nel respiro del qui ed ora che è alla base della pratica Yoga. Vorrei leggere le parole di Donatella Messina insegnante di Yoga e Presidente della LUA di cui faccio parte. "L’attesa non può focalizzarsi su un punto di arrivo, perché perderebbe sostanza. L’attendere quindi è un’attenzione fine a se stessa, cioè un’attesa senza scopo e senza fine. Invece nell’aspettare, aspettarsi, noi chiediamo qualcosa a qualcuno, o che qualcosa arrivi. Potremmo dire che la differenza si sostanzia proprio nella modalità in cui noi stiamo in quella pausa. Se l’aspettare accresce il desiderio che qualcosa o che qualcuno si evidenzi, l’attendere non cancella questo, ma lo sospende. E’ questo che rende questo spazio importante. In questa sospensione che è davvero un puro attendere e in cui noi non sappiamo che cosa possa arrivare, noi stiamo nello spazio dell’attesa senza aspettare che vi sia una risposta. E’ solo e soltanto un saper stare sapiente ed è semplicemente un vuoto prezioso perché ci consente di aprirci a qualcosa d’altro, che può essere un’intuizione, una rivelazione. Può essere semplicemente abitare il silenzio che è dentro di noi, e concedere alle persone che stanno con noi di fare altrettanto. L’attesa piega il tempo fino quasi a sospenderlo. Lo rende trasparente, impalpabile, quindi la lingua dell’attesa ha un alfabeto di annunci e attendere è decifrare questi annunci senza aspettare che arrivino. L’attesa genera pazienza, è una pratica, un atteggiamento, una postura. È una disposizione dell’animo. È spazio vuoto. Non si tratta di abitare una forma conosciuta, prestabilita, già sperimentata, di cui noi siamo consapevoli. L’attesa non è un luogo di certezze, ma un luogo da esplorare senza certezze."
Pensi che, in quest'ottica, la cifra peculiare del tuo Oggi sto proprio bene possa essere quindi un'attesa yogica?
E che quindi forse non sia un caso che il tuo libro proprio in un centro yoga?
Non avevo mai fatto questa considerazione, ma trovo che sia corretta.
I miei racconti hanno probabilmente un’anima yoga o zen. Così sono felicissimo di presentarli a Mondo YogaStudio.
- Leggere ci da la possibilità di vivere più vite. Scrivere ci da la possibilità di dar soddisfazione ai desideri più inconfessabili. ll tuo Mamarce, per esempio, è sessualmente molto attivo. Come vedi il rapporto tra letteratura e sessualità? Cosa ne pensi del successo del pornosoft, esemplificato da bestseller come "50 cinquanta sfumature di grigio"?
La sessualità fa parte della vita, come molte altre cose: l’amore, la tristezza, l’avventura.
Così la letteratura racconta anche la sessualità, come tutto il resto.
Non ho mai letto "50 cinquanta sfumature di grigio" e non penso di leggerlo.
Non mi interessano i generi stereotipati siano essi pornosoft, romanzi rosa o gialli.
Ad esempio, per il genere “giallo/thriller”, trovo che la famosa trilogia di Stieg Larsson, in quanto monotematica: tutta focalizzata sulla misoginia, sia decisamente monotona, mentre i racconti di Simenon con Maigret spaziando dallo psicologico al sociale e risultino belli, sebbene Simenon raggiunga il suo massimo espressivo nei romanzi e racconti senza Maigret (penso a “Cargo” o a la “La camera blu”)
- Quanto c'è di autobiografico in quello che scrivi?
Se per autobiografico si intende “racconto/cronaca” della mia vita, la risposta è semplice: “non c’è nulla di autobiografico nei miei racconti”.
Non sono mai stato sui monti del Mackenzie (l’orso), né in Antartide (base albatros), né sono mai stato un frate (il frate) o un etrusco (Mamarce).
Lo stesso racconto “Oggi sto proprio bene” che narra l’ultimo giorno di mia madre Lina, è cronaca solo nella prima pagina (telefonata dell’ospedale) quello che viene raccontato dopo è pura invenzione, narrazione fantastica di quello che provavo.
In un senso più ampio tutta la narrazione è autobiografica, mia e di ogni altro autore. In quanto chiunque scrive, presenta i fatti attraverso un suo filtro personale che è la sua vita.
Quindi nei mie racconti nessuna cronaca autobiografica, ma tutto da me filtrato o vissuto.
- Veniamo alla poesia. Alcune tue poesie sono state inserite in Enciclopedia della Poesia Contemporanea Vol. 4 2013 (Fondazione Mario Luzi Editore). Leggiamo una tua poesia. In che tipo di collegamento stanno queste due produzioni così diverse come genere e così lontane nel tempo?
La lontananza nel tempo è semplicemente dovuta alla mia passione di scrivere, che dura da decenni, combinata con la difficoltà di trovare un editore.
La diversità di genere (poesia e racconti) si può spiegare sia con la mia voglia di sperimentare, sia con la mia passione per la poesia, tenuta sotto controllo dalla difficoltà di scrivere poesie.
I temi trattati non sono molto diversi (amore, natura, mistero) declinati nelle modalità peculiari dei due generi.