Difficile prendere sonno dopo aver visto Precious, il film del regista Lee Daniels, prodotto da Oprah Winfrey, vincitore nel 2010 di 2 Oscar, 1 Golden Globe, del Sundance Film Festival e molti altri prestigiosi riconoscimenti per le interpretazioni dell’attrice comica Mo’Nique nelle vesti della madre e di Gabourey Sidibe in quelle della figlia Precious.
Nonostante il personaggio della protagonista Precious sia un’invenzione della scrittrice Sapphire, dal cui romanzo “Push” è tratta la sceneggiatura del film, si sa che di storie tragiche come quella di Precious è pieno il mondo. Non a caso il primo titolo di coda è in realtà una dedica “For all Precious girls everywhere in the world”.
E’ opprimente, claustrofobica, di una durezza spesso insopportabile la condizione della teenager Precious, che vive in un appartamento soffocante di uno squallido palazzo ad Harlem con la madre abbrutita fino al disumano dalla violenza e dalla gelosia verso la figlia follemente percepita come rivale in amore, in quanto abusata dal padre dall’età di 3 anni. Precious ha già avuto dai rapporti col padre una figlia di pochi anni, che - avendo la sindrome di Down - viene chiamata “Mongo” ed è incinta di un altro figlio incestuoso.
Precious ha un buon carattere, o forse semplicemente non si ribella per incapacità di gestire la solitudine e per paura di non poter vivere senza il sussidio della madre. Vorrebbe essere bianca, coi capelli lunghi e magra. Invece ha i capelli corti, è nera e obesa, talmente obesa che il grasso delle guance e della fronte le nascondono gli occhi. Sogna di essere una popstar, una fotomodella, una cantante gospel – invece è analfabeta e la preside della scuola, quando scopre la sua gravidanza, la spedisce in una scuola alternativa. Qui Precious incontra la Signorina Rain, che insegnerà a lei e alle altre ragazze disagiate della piccola classe a leggere e scrivere. Ma la Signorina Rain sa che conoscere l’alfabeto non è un’abilità fine a se stessa, ma lo strumento fondamentale della comunicazione. Così, stimolando l’apertura, l’espressione, la condivisione, pian piano la disperazione, l’introversione, la sfiducia, la rassegnazione e la mancanza di autostima di Precious si trasformano. Dal non riuscire a nominare nemmeno una cosa che sa fare, Precious arriverà a scrivere favole e poesie e, soprattutto, a raccontare di se’.
Non fa null’altro, la Signorina Rain. Niente storia, geografia o matematica. Solo scrivere di se’, dei propri desideri, aspettative, delusioni, errori e speranze. Perché – come scrive Karen Blixen ne “La mia Africa” - “Solo scrivendo si può rendere il dolore più tollerabile”. Lungo il processo di auto-salvazione di Precious, ci sarà un solo momento in cui la scrittura sarà troppo debole per compiere il miracolo. Quando, dopo aver partorito un figlio sano e bello tra il conforto delle compagne di scuola, aver lasciato la casa della madre, aver passato il Natale dalla Signorina Rain e aver trovato una casa d’accoglienza, Precious scoprirà di essere sieropositiva. Quel giorno Precious, in classe, si rifiuta di scrivere.
Il dolore, la rabbia, la preoccupazione sono troppo grandi per essere contenuti nella scrittura. “Scrivi, scrivi” la esorta piangendo la Signorina Rain. “Non posso.” “Scrivi per chi ti ama.” “Non mi ama nessuno. L’amore mi ha fatto del male.” “Non era amore, quello che ti ha fatto male. Tuo figlio ti ama.”
Anche Precious ama suo figlio, entrambi i suoi figli, riuscendo incredibilmente a superare l’eredità di odio ricevuta. In questo è lei la maestra più grande. Tanto che, quando alla nascita del piccolo, la Signorina Rain vuole convincerla ad affidarlo ad una famiglia per poter essere libera di prosegure gli studi e non essere costretta a lavorare come domestica a 3 dollari l’ora, Precious le risponde “Lui ha bisogno di me, solo io posso dargli quello di cui ha bisogno ora” soffocando il piccolo viso di Abdul con l’enorme seno da cui il neonato succhia il latte.
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