La bibliografia di matrice anglosassone ha sempre classificato la produzione letteraria in due macro categorie: fiction e non fiction. Una distinzione, quella tra racconti di fantasia e documentazione realistica, che non esiste in tutte le lingue e tantomeno nella lingua di quel popolo di poeti, che siamo (eravamo? dovremmo essere?) noi italiani.
Per una volta possiamo dire di essere stati più lungimiranti noi, perché il boom dello storytelling poggia proprio sul superamento di questa dicotomia. Oggi lo storytelling rappresenta, con il suo mix di dati di fatto e lavoro d'immaginazione, una nuova prospettiva di ricerca di senso, quel senso di cui abbiamo bisogno per riempire il vuoto lasciato dal crollo di religioni, ideologie e altri fenomeni di massa (eccetto il calcio). Non esente da rischi, certo, ed ecco allora la necessità di uno storytelling guidato dall’etica.
Esemplare la scena finale di The Hateful Eight di Tarantino, quando uno dei due sopravvissuti al massacro nel saloon legge all'altro una falsa lettera di ringraziamento di Lincoln. Il trattamento colore dell'immagine vira sul blu, rosso e bianco, i colori della bandiera americana. Come a dire: ecco cosa rimane di questo paese, una storia finta, che però serve a motivare, a dare significato, a orientare le azioni. Con questa provocazione apre The Narrative Age - Convegno Nazionale dell'Osservatorio Storytelling del 25.11 a Milano il filosofo Roberto Mordacci, che vede lo storytelling come conseguenza della riscoperta da parte dei giovani filosofi, della responsabilità della verità, in opposizione alla scuola dei vecchi filosofi, ancora sostenitori di quel pensiero post-moderno per cui non esiste la verità, se mai tante ed equipollenti verità.
Tutto il contrario del "raccontare storie" insomma. Questa precisazione è quanto mai necessaria, perché nel mondo della comunicazione il termine storytelling tende ad essere abusato e travisato.
Fare storytelling significa cercare una storia e darle vita per incontrare un pubblico con l'appeal dell'onestà, della gentilezza, del pensiero laterale, della creatività, dell'impegno - in una giungla in cui il marketing tradizionale, aggressivo, dal linguaggio che è un grido di guerra (il pubblico come "target da colpire"), dalle iperboli e dalle false promesse ha perso credibilità e, soprattutto efficacia. Perché in una proliferazione di messaggi tutti simili, fare storytelling per un brand significa cercare la propria anima e, cercandola, costruirla. Magari, come fu nella versione biblica della creazione, nominando prima di tutto qualcosa perché prenda vita. Parlare di anima non è blasfemo - perché un brand cos'è, se non persone?
Lo storytelling è come una mappa medievale: la rappresentazione di un micro mondo dove convivono pacificamente il Mar Rosso e l'Eden, il Papa e gli sciapodi (esseri mitologici con una sola gamba), elefanti ed unicorni, ossia dati di realtà e creature fantastiche.
Oggi questa commistione esiste in ogni ambito della comunicazione, anche in quello che più di tutti si penserebbe ne fosse lontano, ad esempio il mondo dell’informazione. Dietro ad ogni immagine e testo c’è una costruzione della realtà da un preciso punto di vista. Basta pensare ai racconti geopolitici dell'ISIS, ad esempio. Per arrivare ad apici assurdi e divertenti, come il fenomeno del turismo finzionale (ad esempio, il binario 9 e 3/4 di King’s Cross a Londra osannato dai fan di Harry Potter) oppure il finto documentario sulla prova dell'esistenza delle sirene Mermaids – The body found, citato dal Direttore dell'Osservatorio Storytelling Andrea Fontana nello stesso convegno di cui sopra.
Eppure questo non deve scandalizzarci, quanto smaliziarci, cioè spingerci a interrogare le storie che ci vengono proposte, per indovinarne la regia e smontarne il costrutto narrativo.
Persino l’autobiografia, ambito a me molto caro, non è scevra dalla commistione di fatti realmente accaduti e fatti inventati. Pur perseguendo un ideale di verità, quando la memoria ritrova i ricordi, essa procede creativamente. I ricordi, infatti – come le neuroscienze hanno recentemente confermato – non sono mai uguali a se stessi, ma si trasformano nel tempo. E questo per quanto riguarda la prima fase dell’autobiografia (quella del dissodare il terreno della memoria), mentre nelle fasi successive, della sceneggiatura del racconto di vita, l’attività progettuale creativa è ancora più evidente.
Ma torniamo allo storytelling come nuova frontiera del marketing e quindi in relazione al brand. Per un brand costruire la propria storia significa confrontarsi con la propria identità, valori, etica, visioni. Cercare la propria storia è il primo passo che un'organizzazione possa fare per dare il meglio di sé. Quello successivo è dare vita ad una core-story, o storia-cardine, e amplificarla costruendo un immaginario, uno storyworlding necessario a rendere tangibile la storia stesso.
Presente la Misericordina di Papa Francesco? Un altro esempio ancora?
Il video Always #LikeAGirl - Girl Emojis prodotto da Always, marca di assorbenti, mostrato sempre al convegno dal direttore creativo Paolo Iabichino.
Un video in cui il prodotto non si vede e non si nomina (se non nella schermata finale). Piuttosto si comunica una particolare sensibilità del brand verso un problema percepito dal pubblico di riferimento, cioè il fatto che le ragazzine non si sentono interpretate dal linguaggio stereotipato degli emoticons. Se una ragazzina vuole chattare ed esprimere con un emoticon che il weekend andrà a surfare, troverà l’icona del ragazzo sul surf, non della ragazza. Troverà in compenso molte icone di ragazze che si fanno lo smalto o danzano.
Un allargamento di prospettiva, un lavoro di ascolto del cliente/lettore, un approccio impegnato, un lavoro apprezzato dal pubblico con 18.857.303 di visualizzazioni.
Sul terreno dello storytelling, è sulla possibilità di toccare la sensibilità del pubblico, che il brand si gioca tutto.
Non solo perché è l'ultima strategia di comunicazione, non solo perché è qualcosa di più vicino al bespoke che alla mass production, ma anche e soprattutto perché porta il brand a interrogarsi su come contribuire alla costruzione del futuro con un messaggio originale e necessario.
Disegnare il futuro è opera d’immaginazione.
Ma tutto ciò che è diventato realtà non avrebbe potuto diventarlo, se qualcuno prima non lo avesse immaginato. E raccontato.