Sarà perchè, come autobiografa, ho impiegato per mesi a ricostruire il mio io. Sarà perché come mamma ho passato sere con altri genitori coinvolti nel progetto Cittadinanza Digitale per produrre una carta etica del comportamento online. Oppure sarà perché una sera un amico, direttore IT di un grosso ente, mi ha invitato a cena e mi ha fatto provare dei visori 3D di ultima generazione sotto forma di occhiali in cui si inserisce il cellulare e si ha la possibilità di immergersi completamente in una realtà virtuale, che si cotruisce seguendo le direzioni del proprio sguardo.
Più probabilmente sarà per tutti e tre questi motivi insieme, che mi ha colpito l'intervista apparsa sul settimanale tedesco der Spiegel al filosofo Thomas Metzinger. La rivoluzione digitale ci permette di assumere altre identità. Dove ci porta questo? Alla perdita dell’io?
E’ tutto possibile. Persino robot che soffrono per davvero – sostiene Metzinger.
Traduco l’intervista per voi.
SPIEGEL: Signor Metzinger, per un ricercatore della coscienza deve essere un periodo interessante, questo. Essere tante persone contemporaneamente è reso possibile dalla rivoluzione digitale: posso essere elfo, se voglio, oppure cyberpunk oppure gladiatore o nano…
METZINGER: …posso immergermi totalmente nella realtà virutale indossando dei visori 3d sotto forma di occhiali e sperimentare come cambia la sensazione di me stesso e di quello che riteniamo essere la nostra esperienza consapevole, reale ed autentica. Quest’anno è probabile che questi prodotti entrino sul mercato in modo massiccio.
SPIEGEL: Li ha provati?
METZINGER: Naturalmente. Nella realtà virtuale sono stati sviluppati dei modelli corporei molto buoni, praticamente già i primi modelli di un io artificale. L’ultima volta che ero in laboratorio, mi sono incarnato in una donna, che era alta come un ragazzino di 14 anni. Ho guardato con i suoi occhi, poi tutto d’un tratto lei è stata aggredita da un altro Avatar.
SPIEGEL: Spiacevole…
METZINGER: Per un momento mi sono spaventato: indossavo questi visori 3D sotto forma di occhiali, ero seduto in una stanza, immerso nella realtà virtuale, nella TV davano un video musicale, c’era un camino col fuoco acceso, quando ho guardato in basso e mi sono accorto, che il mio Avatar non era ancora stato creato. Avevo la sensazione di essere seduto, ma guardando in basso ho visto solo la sedia vuota.
SPIEGEL: Mancava qualcosa…
METZINGER: Si, il mio corpo. Raccapricciante.
SPIEGEL: A cosa servono queste prove?
METZINGER: Hanno a che fare con la percezione. Per esempio, ci possono essere molti utilizzi clinici, nella psicoterapia, ad esempio, oppure per creare ambienti di apprendimento completamente nuovi. Ci si può allenare a combattere la paura dell’altezza, gli anoressici possono fare una nuova esperienza del loro corpo, ci sono esperimenti per costruire avatar per le persone paralizzate attraverso un’interfaccia cervello-computer.
Le tecnologie di realtà virtuale possono servire per facilitare l’empatia, oppure per distruggerla. Questi metodi sono potenti strumenti di manipolazione psicologica. Ora è importante stabilire degli standard etici, per la ricerca, certo, ma anche per la quotidianità, per la relazione interpersonale nella realtà virtuale.
SPIEGEL: Come filosofo che studia il confine tra scienze della natura e dello spirito, ci dica: cosa fa di noi la realtà virtuale? Come cambia la rivoluzione digitale ciò che intendiamo per “io”.
METZINGER: Di preciso non lo sa nessuno. Quello che sta succedendo ora è una specie di esperiemento di massa. Può essere che l’identificazione totale con gli Avatar cambi la percezione dell’Io, all’inizio in maniera impercettibile. Potrebbe essere che le persone, che per lungo tempo vivono nella realtà virtuale, in seguito possano soffrire di disturbi di spersonalizzazione, ossia la sensazione cronica che il corpo reale, nel mondo vero, non sia più reale. Oppure il fatto di percepirsi come degli automi oppure che tutto ciò che ci circonda sia un sogno.
SPIEGEL: Le novità sono sempre minacciose. Nel 18mo secolo si temeva che l’ascesa del romanzo potesse scatenare una “foga da lettura” nei giovani. Poi è diventato un pericolo la Tv, ora Internet.
METZINGER: E Platone ha criticato già nel Fedro la scrittura, per via del fatto che indebolisce la memoria e non sia adatta al trasferimento della saggezza. La realtà virtuale che abbiamo studiato, è però diversa da un film o da una chatroom. L’utente ha una percezione diversa perché tutto ciò che lo circonda è stato disegnato dai creatori della realtà virtuale. La persona che si muove all’interno della realtà virtuale vive l’illusione di possedere e controllare un corpo, che non è il suo. Questa tecnica cambia il rapporto con noi stessi. SPIEGEL: Lo spazio virtuale e più in generale digitale è un mare di possibilità: cosa che non deve essere per forza cattiva. In Facebook ci sono circa 60 tipi di identità di genere. Posso decidere liberamente, se voglio essere uomo, donna, transessuale, bianco o nero. Da qui l’eterna domanda: chi sono? Chi voglio essere? Decidere non è allettante?
METZINGER: Se non si perde la propria autonomia spirituale, sì. Cliccando su Internet abbiamo una gamma di opzioni infinita, certo. Ma c’è anche il rischio enorme che ciò che clicchiamo non sia la migliore delle opzioni. Questo ci mette dubbi e in realtà l’essere umano non ama l’insicurezza. Un brillante scienziato inglese, Karl Friston, ha sviluppato un modello matematico, che precisa l’idea di base di Kant e Helmholtz in relazione a ciò che fa il cervello. Semplificando, il cervello fa sempre questo: riduce l’insicurezza, evita le brutte sorprese.
SPIEGEL: Perché abbiamo così paura?
METZINGER: Noi esseri umani col nostro cervello siamo sistemi che cercano costantemente le prove della propria esistenza. Vogliamo costantemente sapere, se esistiamo ancora. Abbiamo bisogno di segni che dicano: non sono morto, sto bene. La vita e la coscienza sono profezie di auto-realizzazione.
SPIEGEL: Così come i maniaci di Twitter o dei selfie, che devono sempre far sapere al mondo tutto ciò che stanno facendo. Come dire: guardate qui, ci sono, esisto.
METZINGER: Si l’estensione isterica e costante del modello di sé nel mondo dei media.
[…]
SPIEGEL: Anche la realtà virtuale ha bisogno di nuove forme di coscienza. Tant’è, che Lei ha già presentato un codice etico di comportamento online.
METZINGER: Si, perché ci sono tanti aspetti da chiarire. C’è bisogno di un “diritto al proprio avatar”, connesso al diritto d’utilizzo della propria imagine? Presto si potranno resuscitare i morti, come Avatar. Che conseguenza ha questo sull’elaborazione del lutto da parte di chi rimane, è un bene o un male? Quali sono i costi delle conseguenze psicosociali dello sviluppo delle nuove tecnologie, se sempre più giovani diventeranno dipendenti? Presto si potrà entrare in un film porno in modo molto più profondo e interattivo, con un’esperienza corporea completa, che coinvolge anche il senso del tatto, potendo quindi prendere parte direttamente anche ad azioni perseguibili fino a poco prima nel mondo reale. Cosa succederà alle persone? L’industria del porno deve essere fortemente regolamentata, allora?
SPIEGEL: Fino ad ora l’abbiamo seguita: nuovi sviluppi portano nuove conseguenze. Ma nel suo libro “Il tunnel dell’io”, che ha presentato da poco, lei mette in guardia rispetto alla creazione di un coscienze artificiali. Con un’argomentazione singolare.
METZINGER: La mia tesi è che non dovremmo creare soggetti artificiali, perché in questo modo potremmo produrre una grande quantità di dolore, senza che sia necessario.
SPIEGEL: Robot che soffrono?
METZINGER: Si, è pensabile.
SPIEGEL: Davvero, robot che soffrono? Non sono né persone, né animali, né piante. Solo macchine.
METZINGER: L’hardware è insignificante. All’interno dell’intelligenza artificale c’è un dibattito su alcuni soggetti artificiali eccezionali
SPIEGEL: Cioè quelli che dispongono di una coscienza?
METZINGER: Si. Oggi possiamo costruire robot che simulano il dolore in modo fantastico, che hanno sensori e magari persino urlano, e nessuno crede che loro sentano davvero male. Ma prima o poi questo dolore ci sarà veramente. La biorobotica costruisce robot con hardware biologico. Ci sono ricercatori che costruiscono robot capaci di curiosità, fame, sete, rabbia – si tratta di esseri ancora senza coscienza, ma prima o poi ci arriveremo.
SPIEGEL: Davvero?
METZINGER: Dico: se vogliamo mettere in campo un’evoluzione artificale della coscienza – cosa che non succederà sicuramente né oggi né domani, ma forse un po’ dopo sì – allora ci sarebbe un rischio molto alto. Potremmo smuovere delle cascate, duplicare tramite Internet molte copie di modelli di coscienza artificiale, che probabilmente soffriranno della loro esistenza.
SPIEGEL: Questa è fantascienza.
METZINGER: Ma penso che ce se ne debba occupare.
[…]
In fin dei conti, questa storia dei robot che s’innamorano, godono e poi s’arrabbiano, s’ingelosiscono e vanno per la loro strada non l’avevamo già vista nel film “Lei”? Solo che solo qualche anno fa, nel 2013, quando che la sceneggiatura di Spike Jonze vinse l’Oscar, pensavamo fosse una storia di fiction (e non di probabile prossima non-fiction). J
A questo link, invece, un video in cui si mostra come le nuove tecnologie possono migliorare la vita e le relazioni dei portatori di handicap.
https://www.aktion-mensch.de/neuenaehe?et_cid=58&et_lid=274024