A volte ci immaginiamo che i progetti nascano come ci insegnano a scuola. Nel caso di uno spettacolo teatrale, in sequenza la scrittura di un testo, la trasposizione scenica, la ricerca degli interpreti, il lavoro attoriale, le prove, la prima. Vi voglio raccontare una storia diversa, quella dello spettacolo LDM Labirinti del Male.
Era il 2012, Luciano Garofano, da generale inventore dei RIS italiani a scrittore esperto in materie forensi, aveva pubblicato da poco il suo libro Labirinti del Male e, da uomo vulcanico qual’è, aveva in mente di tirarne fuori una trasposizione in un medium che potesse portare le storie delle protagoniste del libro più vicino al pubblico. Fu così che fece incontrare lo scrittore Francesco Zarzana con Alessandro Molinari, regista e videomaker nonché mio socio di vita e lavoro. Si cominciò a lavorare all’idea di una messa in scena teatrale. Venne scelta come interpete Giorgia Ferrero, una giovane attrice che avrebbe partecipato poi a La Grande Bellezza di Sorrentino.
Io guardavo tutto da lontano: il mio secondogenito aveva pochi mesi ed io era assorbita completamente da lui e dal compito dell’allattamento, cui mi dedicavo come una missione. Avrei voluto partecipare in modo più diretto e concreto a quel progetto che toccava un tema urgentissimo della nostra società. Avrei voluto fare qualcosa di più di un generico sostegno morale, direzionando la mia creatività per un fine importante per la collettività.
Al di là del mio punto di vista, l’opera crebbe e sbocciò. Zarzana scrisse il testo e curò la regia e Molinari scrisse le musiche e girò con Giorgia Ferrero vari video clip che intervallavano l’azione scenica, che animava la prima parte dello spettacolo, seguita poi dalla conferenza multiemdiale tenuta da Garofano. Il lavoro debuttò il 5 maggio 2013 al Teatro Asioli di Correggio.
La sera stessa del debutto, però, successe un episodio sgradevole che creò una rottura nel gruppo di lavoro. Si cercò di rimediare per alcuni mesi, senza riuscire a trovare una soluzione. Naturalmente, sarebbe stato un peccato buttare via tutto. C’erano tanti pezzi che, nonstante tutto, restavano a galla, come dopo un naufragio: un’attrice senza più parte, vari videoclip con lei come protagonista, musiche coinvolgenti, gli interventi di Luciano Garofano su stalking, cyberbullismo, nuove tecnologie e sviluppi legislativi. E, soprattutto, c’era l’interesse della gente per un modo diverso di accostare questi temi - un modo più delicato e costruttivo rispetto al sensazionalismo televisivo.
Nel frattempo erano passati i mesi ed io avevo ripreso a lavorare. In quel periodo la cantautrice italo-americana Laura Trent chiedeva ad Alessandro di girare il videoclip del suo brano Emily – guarda caso la storia di una donna in pericolo, disperata, che grida aiuto perché non riesce a salvarsi da sola. La connessione fu presto fatta: l’interprete di quel video diventò Giorgia, protagonista di LDM e fece una comparsa pure Luciano Garofano.
Questa nuova riattivazione di energie attorno al progetto smarrito mi fece fare un passo: proposi di prendere in mano i vecchi pezzi naufragati con i nuovi. Volevo immaginare una storia che potesse tenerli tutti assieme, come una specie di isola deserta su cui approdare e convivere.
Studiai il materiale e la mia storia nacque così, all’incontrario, come un collante che andasse a riempire i vuoti, a creare dei passaggi tra un’immagine e l’altra, tra un caso di cronaca e l’altro, accompagnando lo spettatore dall’inizio alla fine con la storia di un uomo e di una donna come tanti, incapaci di far crescere amorevolemnte il loro rapporto.
Fu proprio quella la sfida: non limitarmi a scrivere un pezzo teatrale avulso dai tutti i precedenti, un brano a se stante che fungesse da preambolo o epilogo alla parte didattica. No, volevo sperimentare una drammaturgia nuova, in cui i vari media - presenza scenica attoriale, video, presenza scenica didattica, testo, musiche e naturalmente il video clip “Emily” – potessero amalgamarsi in un unicum che accompagnasse lo spettatore su temi via via diversi, ma sempre con un pathos vivo e acceso, attraverso un coinvolgimento emotivo dato non dalla spettacolarizzazione dell’evento sanguinoso, ma da tutto ciò che lo precede e che subdolamente porta la relazione a un inasprimento vicino alla disperazione.
La mia storia ha voluto soprattutto riflettere sul linguaggio, su quel linguaggio quotidiano e familiare che crediamo di parlare, ma che in realtà “ci parla”, “ci plasma”, impastandoci di mancanza di rispetto e ingiusto senso di possesso. Ho voluto anche portare in scena lui: troppo spesso viene mostrata la vittima, mentre l’aggressore rimane nel buio, nascosto, coperto dall’alibi della pazzia o della mostruosità. E’ importante invece cercare di capire chi è l’uomo che uccide e tracciarne un identikit, per imparare a riconoscerlo e a difendersi.
Così, in modo irregolare e imprevedibile, proprio com’è la storia delle storie, cioè la Vita, è nata la versione 2 di LDM che ha girato varie città d’Italia e che in questo prossimo 8 marzo approderà a Merate, nei pressi di Milano.
Uno spettacolo che ora già si prepara già alla versione 3 – quella di un Laboratorio di Educazione alla Relazione per le scuole, in cui saranno gli studenti a raccontare la violenza, anzi per esteso le violenze – a partire dal loro punto di vista e dalla loro esperienza. I ragazzi prenderanno in mano LDM per farne uno spettacolo dei ragazzi per i ragazzi. Ma questa è un’altra storia e ve ne parlerò in un post successivo!