Sabato scorso si è ripetuto un insolito esperimento in cui un gruppo di donne, in un laboratorio di mia ideazione, ha messo alla prova il cosiddetto fenomeno Proust, per cui gusto e olfatto possono scatenare lampi che vanno a illuminare angoli bui della nostra memoria.
La lettura delle famose pagine dedicate alle briciole di madeleine sciolte nell’infuso di tiglio stupisce ancora oggi per la precisione con cui Proust, nel primo volume della sua lunghissima autobiografia Alla ricerca del tempo perduto, descrive l’affiorare del ricordo di zia Leonie, poi della casa e infine delle strade e delle piazze di Combray, dove Marcel passava le estati da bambino. Una città intera esce da una tazza di the e si ricostruisce davanti agli occhi dell’autore.
Proust descrive come la memoria si svela pian piano, come un domino in cui una tessera fa cadere la successiva e così via, una volta iniziato a dissodare il terreno dei ricordi. Ancora, Proust spiega come i ricordi non siano fotografie immutabili, bensì cambino nel tempo, si trasformino ogni volta che vengono richiamati alla memoria, coinvolgendo nella loro rievocazione un’attività creativa.
Era il 1913 quando fu pubblicato il primo dei 7 volumi della Recherche e cento anni dopo alcune scoperte neuroscientifiche hanno dimostrato come il gusto e l'olfatto siano in collegamento diretto con l'ippocampo, che svolge un ruolo importante nella memorizzazione, e come i due sensi abbiano un ruolo importante sia nella formazione dei ricordi che nella loro evocazione, confermando le intuizioni di Proust così dettagliatamente osservate e descritte nella Recherche.
Nel saggio Proust era un neuroscienziato il giovane ricercatore americano Jonah Lehrer mette in relazione le neuroscienze con l'arte e la letteratura e, in una sintesi tra cultura umanistica e cultura scientifica, analizza l'opera e le intuizioni di alcuni artisti, argomentando l’idea che la scienza non è l’unica via possibile per la conoscenza. Così come Marcel Proust ha penetrato i misteri della memoria immergendosi nei suoi ricordi e mettendoli in relazione con il gusto e l’olfatto, così Lehrer analizza come il poeta Walt Whitman abbia intuito le basi biologiche del pensiero umano; come la scrittura sperimentale di Gertrude Stein faccia presagire il lavoro di Noam Chomsky sulla grammatica; come la coscienza estetica di Stravinskij abbia anticipato le scoperte dei neuroscienziati sui modelli sviluppati dal cervello per il riconoscimento delle sequenze di note.
Alle partecipanti del laboratorio è stato chiesto di mettere a fuoco la ricetta del “piatto forte” della propria vita e di inviarla in anticipo alle docenti, cioè io e Lena Tritto, insegnante di cucina di casa e docente di scuola Tao. Questo primissimo esercizio, oltre a consentire a Lena di trasformarsi per l’occasione in “personal chef” e cucinare il piatto di ciascuna partecipante, ha portato le partecipanti a ripercorrere l’archivio dei propri ricordi sensoriali, entrando così già giorni prima nel clima autobiografico del laboratorio. Sempre all’insegna delle avanguardie dei primi del ‘900 i primi giochi autobiografici volti a sbloccare la penna dall’ansia da prestazione, con scritture automatiche e petit onze, fino ad arrivare a ricostruire la vera e propria storia dietro alla ricetta. E’ così che dietro a una ricetta apparentemente banale, come “Pizza”, si rivela come in uno stemma dinastico l’identità di un’intera famiglia, fatta di migrazioni e contaminazioni culturali e gastronomiche, attorno ad un unico punto fermo – la pizza, appunto.
Dopo aver scritto e condiviso con il gruppo, è arrivato il momento di assaggiare i piatti e andare così ciasuno a testare il fenomeno Proust, prestando attenzione a se vengono aggiunti dettagli al ricordo già dissodato ed emerso. Ma se ogni gruppo in autobiografia lavora col principio di Zygmunt Bauman dell’individualmente insieme, allora l’assaggio non è stato solo individuale ma condiviso: ognuno, dopo aver scoperto le storie celate dietro alle ricette scelte tra centinaia per essere rievocate questa celebrazione del “piatto del buon ricordo”, ha potuto assaggiare il gusto degli altri, arricchendo la propria immagine di profumi e sapori, in una grande sinestesia.
In questo insolito pranzo, Lena ha spiegato le proprietà energetiche dei diversi piatti, dei loro ingredienti e procedimenti, al fine di cucinarli per supportare il corpo nelle diverse stagioni e nelle necessità specifiche individuali.
Ricette, storie, micropoesie, fotografie, consigli nutrizionali, commenti e impressioni sono stati raccolti da ciascuna partecipante in un rice-diario decorato a mano nell’ultima parte del laboratorio, con timbri, scotch con stampe pattern, ritagli di carte di design create con fustellatrici Sizzix e altri materiali della tecnica scrapbook.
Un ringraziamento a Coop Alleanza 3.0 per aver reso possibile l’evento.