È con grande piacere che condividiamo la nostra collaborazione con Mia le Journal (https://www.mia-lejournal.com), un progetto editoriale internazionale di grande qualità su moda, fotografia, arte, musica e cinema, il cui tema è l’esplorazione della sfera personale, con un taglio delicatamente introspettivo.
Il progetto è curato da un gruppo di artisti ardentemente motivati da un desiderio comune di ricerca di autenticità.
Ecco la storia scritta da me (Elisa/Giulietta) per il 10° numero di Mia Le Journal intitolato “Nomad”.
Nelle foto, invece, il copywriting per “Colorado Blues”, il servizio fotografico curato da Elisabetta Cavatorta.
LA SOCIETÀ DEI NOMADI
Amano i piedi con tenerezza, non con la malizia dei feticisti. Con le vene sul dorso, a fior di pelle, amano i piedi vissuti, allenati a camminare, piedi in collegamento diretto col cervello, piedi, che quando appoggiano i talloni e rullano verso la pianta stimolano pensieri.
Pensieri diversi da quelli che pesano, misurano, sezionano, pensieri invece leggeri, erratici, illogici. Pensieri che assomigliano a immagini, perché si mostrano all’improvviso, tutti interi. Binomi fantastici che legano figure lontane nello spazio e presenze distanti nel tempo.
Amano i piedi perché sono loro a portarli in giro e perché è in quell’essere fuori che si sentono finalmente dentro, dentro sé stessi e vicini al nocciolo della vita.
Mentre camminano all’imbrunire, per le strade, osservano i palazzi, le luci accese a mostrare gli interni. Non possono fare a meno di pensare alle case come alle tombe dei viventi, luoghi chiusi e fissi, dove ci si illude di creare un micromondo inattaccabile.
Fuori, sotto il cielo cangiante, con l’aria fresca in faccia, li si sentono vivi, passando tra ciò che muta incessantemente, in cammino su una terra che gira.
E quella macchina fotografica che ferma un’immagine, quella penna che fissa una poesia, sono gli unici atti di resistenza che osano opporre al flusso.
Sono cambiati i paesaggi e le architetture, ma loro non hanno mai smesso di attraversarli, loro che costituiscono la Società dei Nomadi, un’assemblea anonima senza statuto, fondata chissà quando e chissà da chi, di cui conosciamo qualche illustre rappresentante – come Walt Whitman, Virginia Woolf, Jean-Jacques Rousseau, Marina Abramovich, Charles Baudelaire, Peace Pilgrim, Basho, Guy Debord, Henry David Thoreau.
Una società aperta che, pur senza pubblicità, continua a raccogliere volontari.
Nei secoli i suoi soci sono stati i viandanti, i flâneur, i Wanderer e chiunque abbia fatto letteralmente della propria vita un cammino, perché non solo a caccia di immagini hanno condotto i piedi, ma anche alle preghiere dei pellegrini, alle vette degli alpinisti, alle terre sconosciute degli esploratori.
Indipendentemente dal tempo in cui vivono o sono vissuti, dalle mete che hanno o non hanno avuto, c’è una colla invisibile che tiene insieme i membri della società dei Nomadi.
Questa colla è la stessa che li unisce a tutto il resto, perché in cammino i loro occhi si riempiono di sogni, le loro orecchie di melodie e le loro narici di sentori. Tutti i sensi si risvegliano, a superare i confini della pelle per collegare il loro corpo con altri corpi - umani, vegetali, animali, inerti. Camminando, compiono la magia di uscire dall’individualità ed entrare nella connessione.
È cosi, con i recettori fisici accesi, che conoscono il mondo. E in questo viaggio riscoprono una felicità semplice, fatta apparentemente di nulla.
Una gioia senza motivo, come quella che provano i bambini, per il solo fatto di essere vivi.
Uno stato d’entusiasmo luminoso e inspiegabile, grato e gratuito, che solo i piedi riescono a mettere in moto.
È questo il segreto della società segreta. Un segreto talmente segreto, che forse lo conosciamo anche tutti noi, pur senza saperlo.
We share with huge pleasure our collaboration with Mia le Journal (https://www.mia-lejournal.com/), a high-level independent international magazine about fashion, photography, art, music and cinema, whose aim is to explore people’s intimate sphere through a deep and delicate introspection.
A project born of a group of artists fiercely motivated by a common desire for the search for authenticity.
Here’s the text written by me (Elisa/Giulietta) for the 10th edition of Mia Le Journal, entitled “Nomad”. In the pictures, instead, the copywriting for “Colorado Blues”, a photoshooting by Elisabetta Cavatorta.
THE NOMAD SOCIETY
It is with a great tenderness that they love feet, not with the self-interest of fetishists. Veins line the insteps, making tracks across the skin of these feet they love, well-worn feet, trained to walk, feet that are directly connected to the brain, feet that lay down their heels and roll towards the soles and in so doing, trigger thoughts.
Thoughts that are much different from those that weigh down, measure, section off, thoughts that are instead light, erratic, illogical.
Thoughts that are closer to images, because they appear all of a sudden, whole. Fantastic binomials that bind together images that are spatially distant and occurrences that are temporally far.
They love feet because they put them in motion, and because it is in that act of being outside that they finally feel inside, inside themselves and close to the heart of life.
As they walk through the dusk, along the streets, they watch the buildings, they sneak peeks at illuminated interiors. They can’t help but
think of these homes as the tombs of their inhabitants, spaces that are closed and fixed; those within delude themselves with the unassailability of their mini-worlds.
Outside, beneath the shimmering sky, as fresh breezes blow upon their upturned faces, they feel alive, moving through a series of constant changes, on paths that cross the spinning earth.
And the occasional camera that captures an image, the pen that seizes a poem, they are the only acts of resistance that dare to counter the flow.
The landscape, the architecture have changed, but they have never stopped travelling through them and by them, they who constitute the Nomad Society, an anonymous assembly with no charter, founded who knows when by who knows who, from which we recognize a few illustrious representatives – Walt Whitman, Virginia Woolf, Jean-Jacques Rousseau, Marina Abramovich, Charles Baudelaire, Peace Pilgrim, Basho, Guy Debord, Henry David Thoreau. An open society that, lacking any and all publicity, continues nevertheless to steadily collect volunteers.
Throughout the centuries, its members have always been wayfarers, flaneurs, wanderers, anyone who made of his lifepath an actual path,
because they steered their feet not only in pursuit of images, but also towards the prayers of pilgrims, towards the peaks of mountaineers,
towards the unknown lands of explorers.
Regardless of the time in which they lived or the lives they lived, the goals they had or didn’t have, there is an invisible glue that binds the members of the Nomad Society.
This glue is the same that unites them to everything else, because on the road their eyes fill with dreams, their ears with song and their noses with scents. All of the senses awaken, and leap past the limits of the skin to connect their bodies with other bodies – human, vegetable, animal, inert. They walk. And as they walk, they perform the great magic trick of moving out of their individualism and into connection.
In this way, with their physical receptors open, they experience the world. On this journey they rediscover a simple happiness, seemingly
made of nothing. A joy without cause and beyond reason, like the joy of children, a joy of simply being alive.
A luminous and inexplicable state of enthusiasm, filled with gratitude and free, that only the feet can put in motion.
And this is the secret of the secret society. A secret so intensely secret, that perhaps we all know it, even without knowing it.