Vivere da poeti è vivere senza ragionevolezza. È vivere vicino al cuore, è ascoltare il battito profondo della terra e l'alta sinfonia delle galassie, è guardare con l'occhio invisibile il reale più reale, ma nascosto, è essere guerrieri della pace.
Mi sento poeta, perché mi muovono la bellezza, la gratitudine, l'amore, l'entusiasmo, la gentilezza.
Purtroppo il business vuole inglobare in sé tutto, persino il poeta, vuole farci credere che il poeta è chi scrive e pubblica poesia.
Ma il poeta, prima di scrivere, è.
E la poesia, prima di essere un mestiere, è un atto di pace.
Il poeta crede nel vegetale, nell'animale, nell'umano, nel siderale e nel mistero. Certo, la storia addita qualche poeta deragliato negli aberranti nazionalismi, come Céline o Ezra Pound. Ma la maggior parte dei poeti ha vissuto del coraggio di essere contro e anti, a favore prima di tutto della proprio acuto sentire, nonostante solitudini opprimenti, nonostante - spesso - persecuzioni.
"Il poeta nasce dalla pace come il pane nasce dalla farina. Gli incendiari, i guerrieri, i lupi, cercano il poeta per bruciarlo, per ucciderlo, per sbranarlo. Uno spadaccino lasciò Puskin ferito a morte fra gli alberi di un parco desolato. I cavalli di polvere galopparono impazziti sul corpo senza vita di Petöfi. Byron morì in Grecia lottando contro la guerra. I fascisti spagnoli iniziarono la guerra in Spagna assassinando il loro maggior poeta". (Pablo Neruda, Confesso che ho vissuto)
Neruda è stato una lettura scomoda, persino pericolosa, per me poeta a metà, che cerco di combinare poesia e borghesia, che relego la poesia negli stanzini e nelle anticamere, fingendomi soldatessa nei saloni.
La vita del grande cileno è stata coraggio, lotta, fuga, ribellione, rischio. Ha sempre saputo di essere poeta, tant'è che Neruda è uno pseudonimo scelto per nascondere al padre - che non voleva un figlio poeta - la prima pubblicazione giovanile, uno pseudonimo scelto ingenuamente sfogliando una rivista, senza sapere che quello era il nome di un scrittore cecoslovacco molto famoso in patria.
Neruda ha viaggiato il mondo, prima con l'alibi di console del Cile, poi come ambasciatore di pace, ha combattuto per il proprio paese e per il popolo spagnolo contro Franco, ha condiviso case, cibo, idee e cause con i grandi poeti spagnoli, russi, francesi, sudamericani.
Ha fatto della sua vita una via di ricerca, in una solitudine a volte colossale.
Leggere l'autobiografia di Neruda "Confesso che ho vissuto" non solo mi ha scatenato un'ammirazione stupita, non solo mi ha stimolato l'appetito di Paul Eluard, Federico Garcia Lorca, Rafael Alberti, Octavio Paz, non solo mi ha arricchito di tanti preziosi passi per la raccolta di citazioni che sto componendo da qualche anno, non solo mi ha portato in una Cina che non conoscevo e mi ha riportato in un Messico che ho conosciuto e amato, non solo mi ha scosso di parole e immagini sensazionali.
Il poeta mi ha interrogato sui fondamentali, ha puntato il dito dritto al cuore del mio cuore. Favorito forse da tête à tête notturni su una baia, in cui le luci degli alberi maestri si distinguono dalle stelle solo per il loro dondolio.